Il marketing serve per il futile o per l’indispensabile?
di Filippo Margary
Quando l’8 marzo la Lombardia è stata dichiarata zona rossa, io mi trovavo a Firenze per una breve trasferta.
Dopo due mesi che manco da Milano, ho scoperto che si può vivere felicemente e decorosamente con pochi vestiti e una lavatrice.
La mia sensazione è che il cambiamento nelle nostre abitudini ci abbia portato a riconsiderare ciò che è veramente indispensabile, rimodulando le varie sfumature che lo distinguono dal voluttuario, dal futile e dal francamente inutile. Probabilmente abbiamo riportato la nostra percezione dell’indispensabile più vicino ai bisogni di base, che avevo letto limitarsi a cibo, tetto, affetti.
Il cibo a dire il vero non è mai mancato, il tetto ce lo siamo goduti pure troppo e per quanto riguarda gli affetti qualcuno è stato fortunato come me e li ha avuti accanto, altri hanno sofferto il distanziamento forzato. Tutti comunque hanno percepito gli affetti come un bisogno di base da difendere (anche a livello politico, tutti i governi hanno messo la salute pubblica davanti al benessere economico).
E il marketing, ci serve ancora?
Da centinaia di anni il marketing lavora sulla nostra psiche per ampliare la sfera dell’indispensabile, erodendo le posizioni del voluttuario e dell’inutile. Per spingerci a comperare. Dopo il lockdown ci ritroviamo a non avere fatto e non aver comperato cose che avremmo fatto e avremmo comperato, e a chiederci se fossero realmente necessarie al nostro benessere. In periodi straordinari come quello che stiamo vivendo, insieme alla borsa, anche il marketing perde terreno nella sua azione di induzione dei bisogni, il demone della morigeratezza ne frena la baldanza.
Cosa bisogna fare, allora?
Non certo abbandonare il marketing, e non è solo un cicero pro domo mea…
Il marketing fa parte del rilancio, della rinascita, della spinta al fare, al volere, al desiderare. Ma al contempo non si può ripartire senza tener conto che nel frattempo alcune sensazioni sono cambiate, a partire dalla percezione più importante per il marketing, quella della soglia di necessità che attiva gli acquisti.
Il marketing non si è mai fermato, tanto meno in questo periodo. Alcuni settori hanno sofferto (affissioni, cinema e carta stampata in primis) altri sono decollati (il digitale senza dubbio, ma anche la televisione). Abbiamo visto rimodulare i messaggi, da product marketing a branding di vicinanza nella difficoltà e anche questo filone rapidamente si esaurirà prima di diventare stucchevole.
Ma la strada che prevedo vincente nel mutato scenario di necessità sarà proprio la capacità del marketing di ascoltare i bisogni. Meno spinta, più ascolto. Meno induzione di necessità latenti o inespresse, più capacità di intercettare esigenze espresse.
La capacità di ascoltare
Questa possibilità di ascolto ce l’hanno regalata i motori di ricerca, che hanno ribaltato il focus del marketing, da pura ricerca del target a capacità di ascolto di chi ha un'esigenza.
Perché sì, i nostri clienti sono su Internet, e cercano ciò che gli serve, e sono così gentili da dircelo, scrivendolo nella "buca delle ricerche" di Google. Se noi abbiamo la pazienza e la capacità di ascoltarli, possiamo accompagnarli con gli opportuni messaggi di marketing ai prodotti o ai servizi che soddisfano la necessità.
Il marketing digitale crescerà ancora. Non solo per la contingenza di budget momentaneamente spostati da fiere ed eventi, ma crescerà in modo strutturale, perché il digitale è il canale che meglio può seguire il mutato assetto di necessità. Il digitale è il canale che meglio ci permette di ascoltare prima di proporre, di interagire e di capire. L’ascolto e la personalizzazione dei contenuti saranno la chiave per un marketing più vicino alle persone e alle loro esigenze.
Evviva il marketing dunque, anche quello che ci fa sognare ciò che non ci serve.